venerdì 18 settembre 2009

Morti bianche, Morti rosse, Morti verdi, Morti nere

due nazioni unite nel dolore di inutili stragi
Ma tecnicamente i militari non sono morti sul lavoro?
Sono morti rosse sangue o nere di vergogna? Morti verdi militari o morti bianche innocenti?
Lavorando spesso con le capitanerie di porto ho conosciuto diverse persone (non sono solo "militari") partiti per le missioni all'estero e mai erano guerrafondai o esaltati.
A prescindere da quanto si pensi, i fanatici, gli spericolati rambisti sono una estrema minoranza spesso rifiutata dai comandanti stessi perché quel che è peggio di un nemico invasato è un amico esaltato. Sono ragazzi o uomini con la testa sulle spalle, sempre con la mente alla famiglia che rinunciano a comodità per guadagnare qualcosa in più per qualche tempo.
Certo, i pericoli, i rischi, le restrizioni esistono. Mai una libera uscita perché saresti un bersaglio mobile appetitoso, mai un rapporto disteso con le popolazioni locali perché hai paura e la tua paura è lo specchio della loro. Sono persone che hanno scelto un lavoro, quasi l'unico che lo Stato nel sud sia capace di offrire. Prima di parlare con una punta di disprezzo di questi uomini occorre immedesimarsi, almeno cinque minuti nelle loro vite, respirare nei loro luoghi e vestire i loro panni.
Io non apprezzo le politiche neocolonialiste della Nato (e quindi anche la posizione italiana), non sono convinto dell'ingenua partecipazione in un luogo di guerra (mi risuonano sempre nelle orecchie le parole di un cinico Mussolini che dando la coltellata alle spalla a una Francia quasi battuta, le dichiara guerra per gettare una manciata di morti sul piatto delle bilancia delle trattative). Sono sempre irritato e intollerante per le nostre partecipazioni in zone di guerra più o meno dichiarate perché da fedele allla costutuzione italiana reputo l'articolo 11 un caposaldo della ragione e della consapevolezza.
Malgrado tutto ciò (pensate un po' !) queste sei morti mi commuovono.
Certo le morti bianche non sono trattate con la stessa enfasi, ma non può essere un problema di questi sei poveri militari.
Sembra sia difficile raccogliere l'ultima parola di quanti siano saltati in aria a causa di un'autobomba. Ma oltre a un urlo di dolore, sono convinto che la loro ultima parola sia stata rivolta a coloro che abbiano amato, non ai maledetti killer, ai datori di lavoro menefreghisti, ai giornalisti silenti o i troppo parlanti, ai politici di comodo e simili.
E in questo non credo sia differente rispetto a qualunque altro morente sul posto di lavoro.
Ognuno muore solo, scrisse Hans Fallada.
Ognuno muore e finisce un universo, quando si muore esiste sempre un senso di ingiustizia, una rabbia che sembra che solo alcuni gruppi, di volta in volta differenti paiono comprendere e capire, è un triste dato di fatto.
Oggi si piangano questi (sei) caduti nell'esercizio delle loro mansioni, è giusto.

PS. Non dimentico i civili afgani, morti in maniera ancora più inconcepibile e assurda. Ma siamo in Italia, nell'hic et nunc di una sottile e velenosa polemica quasi venata di soddisfazione per la morte di sei militari. Miserie da piccolo paese.

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