lunedì 29 aprile 2013

I tanti padri di un gesto non folle


Gli spari a palazzo Chigi e gli obiettivi dichiarati non li considero un gesto isolati, non ci riesco proprio . Innanzitutto, dal 1897 in poi non è più possibile nascondersi.
Il suicidio non è un atto di un folle, ma un fatto sociale.

E già con questo si può tarare il livello morale e culturale della Classe Dirigente attuale, a partire dal nuovo (?) ministro degli Interni, Angelino Alfano.
Non voglio, né posso parlare con competenza dei meccanismi dei suicidi o dei tentati tali, mi limito a due osservazioni.

La prima: "gli incidenti della vita privata che sembrano gli immediati ispiratori del suicidio e che ne vengono ritenuti le condizioni determinanti, in realtà sono solo cause occasionali. Se l’individuo cede al minimo urto delle circostanze significa che lo stato della società lo ha reso facile preda del suicidio." (Il Suicidio - 1897)



Parole non mie, ma di questo sosia di Oscar Giannino che si chiama Émile Durkheim. Questo tanto per inquadrare di cosa stiamo parlando.

La seconda osservazione. Questo atto odioso (perché riversato su chi di colpe non ne ha alcuna e forse è molto più vicina al colpevole) e disperato non è un caso isolato, un fatto orfano. Tutt'altro. A molti titolari, facilmente riconoscibili, che non possono che riconoscerne la paternità.

  • Ne è padre Berlusconi con la sua accolita di centrodestri e legaiola, con la sua inconcludenza e incapacità di agire sull'economia e la società malgrado la più ampia maggioranza mai avuta in parlamento, il suo mettere i propri interessi davanti al Paese, intrigando con ferocia come e peggio di un politico della prima Repubblica.
  • Ne sono padri Bersani-D'Alema e sinistri-centrosinistri-cosasiamononsappiamistri, con le loro frammentazioni, distinguo, faide interne, veti incrociati, incapacità di capire il paese e persino di concentrarsi sul proprio ombelico, con il miserevole comportamento nell'elezione del capo dello stato e nel mettere su un qualche governo capace di dire voltiamo pagina.
  • Ne è padre Beppe Grillo e molta rabbia pentastelluta, perché non si può dire che la violenza verbale non può essere confusa con le vie di fatto. Se si incita alla rivoluzione, essa è tale solo con bagni di sangue e lacerazione sociale. Non è un pranzo di gala (copyright Becchi-Mao-SergioLeone)
  • Ne sono padri i Sindacati, sempre più distanti dal mondo del lavoro reale, talvolta arroccati attorno a figure ormai mitiche ed inesistenti (l'operaio in fabbrica, estrema minoranza in rapida via di estinzione), talaltra succursali o appendici di partiti, partitini, formazioni politiche di vario genere e grado, pronte a fornire all'occorrenza esponenti politici di mediocre grandezza (al volo, Polverini, Pezzotta, Marini, D'Antoni, Cofferati)
  • Ne sono padri i politichetti che giocano alle belle parole, capaci solo di farsi notare per offese (Santanchè, Gasparri, Salvini) o per le scelte a loro insaputa (da Scaloja ad Alemanno).
  • Ne sono padri i grandi imprenditori italiani, talmente abili e capaci da delocalizzare il lavoro, far la rincorsa al massimo risparmio di materiali e uomini, per poi lamentarsi di non avere soldi per investire in alcun che e restano solo a parlarsi che il paese deve muoversi, deve essere rimesso in moto, dopo aver sostituito le ruote con 4 mattoni e il motore trasformato in un nido da cova con uova di serpente.


La tristezza corre sul collo di quel filo di sangue del carabiniere steso per strada che paga le colpe di tutti costoro che ora si fanno anime belle con parole di circostanza, ma a cui francamente non gliene frega niente. E vanno dritti per la loro strada.
Solo adesso, magari per qualche giorno, con un brivido in più.

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